Sezione Romana. In fondo al pozzo

A più di cinque anni dall’apertura del Museo, sta prendendo forma un altro tassello della Sezione Romana.

Si tratta di due vetrine-installazioni nella saletta precedente a quella dedicata agli scavi di Calvatone, che illustrerà i ritrovamenti del territorio.Perché installazioni? Perché alla visibilità “scientifica” degli oggetti tipica delle vetrine espositive, sempre formale e un po’ tassonomica, si è preferita quella che evoca il contesto di ritrovamento.La prima vetrina è dedicata a un contesto tombale, San Paolo di Ripa d’Oglio (studiata da Daniela Benedetti e Stefano Nava), Sul fondo di sabbia verranno disposti i reperti secondo le indicazioni dei dati di scavo; mentre un video trasmesso da uno schermo a lato racconterà cosa i reperti abbiano permesso di comprendere del rito funebre.

La seconda vetrina propone i reperti di tre diverse fasi recuperati all’interno di un pozzo.

Al momento sono state consegnate le strutture, che devono essere completate con l’arredo e ovviamente i reperti.

Sono due installazioni che confermano l’attenzione che il Museo di Piadena dedica al racconto dell’archeologia attraverso l’evocazione soprattutto dei contesti di scavo, come già affrontato nelle sezioni precedenti: ad esempio con il pozzetto neolitico, la palafitta e le sepolture dell’Età del Rame.

La stanza verrà completata negli anni seguenti, sempre seguendo i finanziamenti dei bandi della Regione Lombardia.

La comunicazione in museo

In un vecchio articolo Costance Perin scriveva che nello Smithsonian di Washington i piano laccato rossovisitatori venivano divisi in streakers (corridori), strollers (vagabondi) e readers (lettori) a seconda di quanta attenzione riservavano ai testi dei pannelli. Lo scopo dei funzionari dei musei era di portare i corridori a diventare vagabondi e questi divenire lettori, rallentando la visita nella convinzione che una maggiore lettura avrebbe voluto dire una conoscenza più approfondita1. Al di là dello spunto divertente, è opinione condivisa che nei musei italiani non sia possibile rapportarsi a un “pubblico” generico, ma che ci si trova di fronte a una molteplicità piano in legnodi persone con esigenze e curiosità diverse: la nuova capacità (e sfida) di un museo non è però di far leggere tutti il più possibile, ma di avere varie modalità di comunicazione che sappiano diversificare i messaggi e offrire la libertà di scelta verso molteplici approfondimenti.

La comunicazione nel Museo di Piadena sarà strutturata su diversi livelli: il più immediato e destinato a tutti i visitatori è quello “non verbale” dell’allestimento. La scelta dei colori e dei materiali dell’arredo, la progettazione stessa delle vetrine, la collocazione dei reperti nello spazio e tra di loro: sono messaggi che non hanno bisogno di parole ma che forniscono informazioni precise. Alcuni di questi interventi sono già stati illustrati nei precedenti post.

telaioIl livello generalista dell’informazione è affidato ai classici pannelli a muro, dove però l’immagine (il disegno ricostruttivo – a lato una bozza di Pierluigi Dander) prevarrà sul testo scritto, nella convinzione che l’immagine non è il completamento della parola ma essa stessa una fonte di informazione esauriente. Ogni reperto invece avrà un sua didascalia che ne permetterà la comprensione.

L’approfondimento sarà possibile con le schede a mano presenti in ogni sala sia in italiano che in inglese; altre schede tradurranno sempre in inglese il testo dei pannelli.

Quattro schermi touch-screen a parete permetteranno attraverso brevi video l’illustrazione di argomenti come lo svolgimento delle tecnologie antiche, racconti di scavi, interviste, ricostruzioni, etc. Un quinto schermo a tavolo, con informazioni relative alla storia del territorio e del paesaggio, proietterà le immagini a parete.

In quasi tutte le sale (5 su 6) sarà presente la riproduzione di un oggetto da manipolare, per poter usare il tatto come strumento di conoscenza degli oggetti e offrire una diversa prospettiva: non più reperti utili a fornire informazioni cronologiche e culturali, ma manufatti che svolgevano una funzione, avevano un peso e una consistenza.

In una seconda fase, si prevede la possibilità di arricchire i livelli della comunicazioni come ad esempio i QRcode (le sale sono coperte da wi-fi) che permetteranno di scaricare informazioni con il proprio smartphone.

1Costance Perin, Il circuito comunicativo: musei come esperienze, in I. Karp, C. Mullen Kreamer, S.D. Lavine (a cura di), Musei e identità. Politica culturale e collettività, CLUEB, Bologna 1995 (1992), p. 169-222