Sezione Romana. In fondo al pozzo

A più di cinque anni dall’apertura del Museo, sta prendendo forma un altro tassello della Sezione Romana.

Si tratta di due vetrine-installazioni nella saletta precedente a quella dedicata agli scavi di Calvatone, che illustrerà i ritrovamenti del territorio.Perché installazioni? Perché alla visibilità “scientifica” degli oggetti tipica delle vetrine espositive, sempre formale e un po’ tassonomica, si è preferita quella che evoca il contesto di ritrovamento.La prima vetrina è dedicata a un contesto tombale, San Paolo di Ripa d’Oglio (studiata da Daniela Benedetti e Stefano Nava), Sul fondo di sabbia verranno disposti i reperti secondo le indicazioni dei dati di scavo; mentre un video trasmesso da uno schermo a lato racconterà cosa i reperti abbiano permesso di comprendere del rito funebre.

La seconda vetrina propone i reperti di tre diverse fasi recuperati all’interno di un pozzo.

Al momento sono state consegnate le strutture, che devono essere completate con l’arredo e ovviamente i reperti.

Sono due installazioni che confermano l’attenzione che il Museo di Piadena dedica al racconto dell’archeologia attraverso l’evocazione soprattutto dei contesti di scavo, come già affrontato nelle sezioni precedenti: ad esempio con il pozzetto neolitico, la palafitta e le sepolture dell’Età del Rame.

La stanza verrà completata negli anni seguenti, sempre seguendo i finanziamenti dei bandi della Regione Lombardia.

Allestimento delle vetrine

Piadena, 17 ottobre 2013 (14)Continua la disposizione dei reperti nelle nuove vetrine e la realizzazione del loro arredo.

Sebbene sia una delle ultime operazione nel lungo percorso dell’allestimento di un museo, nondimeno è una delle più importanti e in grado da sola di condizionare la qualità del risultato finale.

Piadena, 17 ottobre 2013 (1)Si parte dal progetto scientifico e da quello di arredo, per poi verificare in cantiere la resa delle proposte e studiare le eventuali modifiche: quantità e disposizione dei reperti, possibili “basi” per evidenziare gruppi di reperti, colori materiali degli arredi, eventuali sostegni specifici.

Piadena, 17 ottobre 2013 (12)Ogni vetrina rappresenta un capitolo del racconto del museo, e per ogni vetrina è fondamentale trovare un equilibrio tra la quantità di reperti e informazioni e la capacità di rendere gli oggetti percepibili e godibili al pubblico. Si tratta di una fase delicata perché è quella che mette realmente in comunicazione il messaggio scientifico con il visitatore, struttura un dialogo dove è importante non sbagliare il linguaggio.

Ma anche estremamente stimolante e costruttiva nel suo svolgimento

Villaggi disegnati

Uno dei problemi maggiori di un museo archeologico è che spesso mostra materiali che non sono nati per essere ammirati in una teca di cristallo, ma per essere utilizzati in un particolare contesto. Il reperto nel museo è doppiamente decontestualizzato: non racconta al visitare né del posto dove veniva usato (una casa, un’officina, un tempio) e neppure del luogo dove è stato trovato dall’archeologo (una fossa di scarico, uno strato di crollo). Compito dunque dell’allestimento è cercare di recuperare in parte tale perdita suggerendo in qualche modo queste relazioni.

Per raccontare dei villaggi che sono sorti nelle varie epoche nel territorio di Piadena abbiamo utilizzato un metodo piuttostopalafitta scritta copy tradizionale: il disegno ricostruttivo.

Ecco una possibile interpretazione del villaggio dei Lagazzi del Vho realizzata con i dati degli scavi Tinè – Simone dal disegnatore Pierluigi Dander. È ancora una bozza, ma i particolari che abbiamo scelto di rappresentare sono presenti quasi tutti:

Un’ampia sezione del nuovo museo sarà dedicata a questo insediamento conosciuto fin dalla seconda metà dell’800: la palafitta dei Lagazzi del Vho è parte, ricordiamolo, del Sito Unesco seriale transnazionale “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”.

L’allestimento è come una ricetta ben cucinata

Gennaio, dopo le vacanze ripartono i lavori e per riprendere con piacevolezza proponiamo un piccolo diversivo, un gioco, anche se paragonare l’allestimento museale alla cucina non è poi un accostamento solo scherzoso come potrebbe sembrare.

Il risultato di una pietanza, il suo sapore, non è la semplice somma degli ingredienti, ma un processo dove hanno grande importanza gli ingredienti, la sequenza dei vari inserimenti, i tempi e le modalità di cottura e i recipienti usati. Ogni passaggio e componente hanno un loro ruolo, ogni presenza e assenza comportano una conseguenza. Chi alla fine assaggia la pietanza ne apprezza (o meno) il gusto finale, ma senza necessariamente cogliere tutti i passaggi compiuti e, a meno che non sia un appassionato, probabilmente ne fa volentieri anche a meno. Mangia di gusto (o meno) e basta.

Analogamente l’allestimento di un museo (un reperto archeologico, un quadro, un oggetto) è il risultato di un percorso dove le varie componenti concorrono a costruire il sapore finale: quelli che in cucina sono gli ingredienti, i tempi di cottura e le sequenze, in un museo sono i colori, i materiali, gli accostamenti, le luci. Al variare delle componenti anche in questo caso cambia la visione del reperto archeologico (o del quadro o dell’oggetto), se ne modifica la percezione.

Continuando con questo paragone, a che punto siamo nel museo di Piadena? La struttura della ricetta è impostata ma siamo ancora lontani da poterci mettere a tavola. Mancano ancora quelli che sembrano interventi minori e che invece sono fondamentali: l’apparato didattico, l’allestimento interno delle vetrine, altri arredi, le luci (e ovviamente l’ingrediente principale, i reperti). Sono componenti indispensabili per caratterizzare il risultato complessivo, potrebbero far diventare quello che sarebbe essere un onesto piatto una piccola esperienza sensoriale, insomma buona cucina.

Per chiudere un piccolo gioco, che spesso ho proposto nei corsi di museografia: se doveste paragonare un museo archeologico a un piatto, che pietanza sarebbe per voi?